Un setaccio per la ri-presa
Da più parti, ascoltando servizi giornalistici o trasmissioni che da due mesi a questa parte si occupano della quarantena, cui gli italiani sono sottoposti, la domanda che più ricorre riguarda l’insegnamento che si può trarre dall’esperienza imposta dal Covid19. Le situazioni di emergenza sono spesso vissute dalla coscienza come un terremoto e possono anche esporre al rischio di una sindrome post-traumatica da stress, quindi, se l’esperienza della quarantena e l’angoscia indotta dalla paura del virus, hanno prodotto riflessioni su se stessi e riconsiderazioni della propria vita, un modo per capirlo è quello di usare un setaccio. Il setaccio è un magico utensile che ci consente metaforicamente di visualizzare ciò che si può lasciare andare e ciò che invece è importante trattenere. In questo lungo periodo, condiviso da tutta l’umanità, di tempo per pensare, anche se in modo diverso cui si era abituati, ce n’è stato, al punto di rendersi conto di quanto si desse per scontato quello che c’era, quando scontato non era, come la libertà di corrispondere ai propri desideri, anche semplici, ma preziosi. Nel setaccio, quindi, rimangono i desideri non esauditi che per troppo tempo sono stati relegati all’ultimo posto, oltre alle priorità che non erano mai state contemplate, per dare precedenza a incombenze che prioritarie non erano. La ri-presa, quindi passerà attraverso il setaccio, indicatore della strada del futuro, ma ancora non di facile conquista.
La vera ri-presa ci sarà quando potremo ri-prendere con le mani nude ciò che ci circonda, per vivere l’emozione del tatto così importante fin dalla nascita. Al momento, ri-torniamo soltanto ad attività che avevamo lasciato indossando schermi nel corpo e nell’anima. Per tornare al contatto epidermico dovremo togliere la pelle di plastica e la maschera che occlude l’espressività del volto, ma nel frattempo usiamo il setaccio per lasciar andare le scorie della vita precedente al virus e alleggerirla da zavorre inutili. Per convivere con il virus è necessario il distanziamento dagli altri esseri umani per far circolare aria e per non assieparci come accedeva negli ultimi decenni, ovunque si andasse. Dal setaccio, quindi, si dovrebbe lasciar passare il virus, sicuramente, ma non distanza, quella giusta però, che renderebbe più facile muoversi nella vita per percepire meglio dove siamo e dove andiamo. Il virus ci ha trascinato, a un prezzo altissimo, alla consapevolezza che l’esistenza andrebbe attraversata sempre con un setaccio per porsi la domanda se ciò che siamo rispecchia effettivamente ciò che vorremmo essere.
Sira Sebastianelli
psicologa-psicoterapeuta
www.sirasebastianelli.it